(A questo punto qualcuno si sarà chiesto perché molto di quanto
scritto non è di conoscenza comune…Dove possiamo prendere le informazioni? Vediamo intanto quello che possiamo
desumere dalle informazioni presenti sulle confezioni dei prodotti. Pubblicità
come informazione?
Visto quanto spendono in pubblicità è facile intuire che il peso
del business è più forte di qualsiasi altra cosa. Ma chi avrebbe dovuto informarci
a livello statale? )
INFORMAZIONI E PUBBLICITA’
LE INFORMAZIONI DATE DALLE AZIENDE
Etichetta
Ingredienti
Esenzioni dall’indicazione degli ingredienti
Termine minimo di conservazione e data di scadenza
Sulle uova…
PUBBLICITA’ COME INFORMAZIONE? (tabella n.10)
CHI AVREBBE DOVUTO INFORMARCI?
Ma chi si trova nella necessità di reperire informazioni, si
sarà accorto che questo può non essere semplice.
Da dove cominciare? (AUTO)!
E' difficile accettare che
per alimenti tutt'altro che salubri o necessari venga fatta sui mass media una
pubblicità bombardante, e, per quelli che dovrebbero essere i nostri mezzi di
difesa dal punto di vista alimentare e della salute, non ci e' dato sapere
pressoché nulla. (AUTO)
A questo proposito possiamo
utilizzare le Linee guida alimentari, stabilite da un gruppo multidisciplinare
di esperti, su iniziativa dell'Istituto Nazionale della Nutrizione,
pubblicazioni dirette sostanzialmente a fornire consigli pratici per
l'orientamento nutrizionale della popolazione.
_Sicuramente la prima, e spesso unica, fonte d’informazioni
sulle caratteristiche del prodotto che intendiamo acquistare è l’etichetta; è
importante quindi saperla “decifrare” correttamente. (AUTO)
_Le indicazioni obbligatorie che si trovano sull'etichetta
includono tra l'altro:
-
la denominazione di vendita,
-
l'elenco degli ingredienti,
-
-
il termine minimo di conservazione,
-
la quantità netta,
-
le modalità di conservazione e di utilizzazione,
qualora sia necessaria l'adozione di particolari accorgimenti in funzione della
natura del prodotto,
-
il titolo alcolometrico, per le bevande alcoliche.
Le menzioni obbligatorie solo in presenza di determinate
condizioni includono:
-
il luogo di origine o di provenienza,
-
le istruzioni per l'uso.(27-9-26)!
_Per quanto riguarda i prodotti importati da altri Paesi
europei, dal 1° gennaio 1993 vige il principio del “mutuo riconoscimento”,
ossia il prodotto fabbricato in base alla legge in vigore nel Paese di
produzione, deve poter circolare liberamente in tutti gli altri Stati membri;
la libera circolazione può avvenire anche in contrasto con le norme esistenti
nel Paese di destinazione, salvo i casi in cui vi sia qualche esigenza
preminente come la tutela della salute pubblica, la difesa ed il miglioramento
dell’ambiente, l’ordine pubblico e la protezione dei
consumatori.
In quest’ultimo caso, una disposizione comunitaria precisa che
“la commercializzazione di un prodotto alimentare, importato da un altro Stato
membro in cui è largamente prodotto e commercializzato, non può di massima
essere proibita per motivi concernenti la difesa dei consumatori, anche se tale
prodotto è sprovvisto di un’etichettatura adeguata per quanto riguarda la sua
natura e le sue caratteristiche, in osservanza alle legislazioni comunitarie”.
Inoltre la Corte di Giustizia di Bruxelles ritiene che
l’apposizione obbligatoria di un’adeguata etichettatura normalmente basti a
garantire i consumatori contro eventuali frodi; la stessa Corte ritiene tuttavia che questo principio non è
invalidato dal fatto che numerosi prodotti alimentari vengono consumati nei bar
o nei ristoranti, e quindi non abbiamo informazioni sulla loro composizione o
provenienza perché l’informazione dei consumatori sulla natura e sulle
caratteristiche del prodotto non può essere garantita anche in questi casi !!!
Va inoltre evidenziato come un prodotto ottenuto in un altro
Paese europeo con sistemi di produzione legali in quel Paese ma non in Italia,
ha diritto di circolare nel nostro Paese, come ad esempio taluni tipi di
formaggio fabbricati con l’impiego di latte in polvere, metodo vietato dalle
nostre leggi.(67-18)!
_Fondamentale per la “lettura” delle caratteristiche di un
prodotto è la lista degli ingredienti; per questo riteniamo opportuno
riportarvi per intero l’art. 5 del D. lgs. 109/92, che cita:
1. Per ingrediente si intende qualsiasi sostanza, compresi gli
additivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto
alimentare, ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata.
2. Gli ingredienti devono essere designati con il loro nome
specifico; tuttavia:
a) gli
ingredienti, che appartengono ad una delle categorie elencate nell’allegato I e
che rientrano nella composizione di un altro prodotto alimentare, possono
essere designati con il solo nome di tale categoria;
b) gli
ingredienti, che appartengono ad una delle categorie elencate nell’allegato II
devono essere designati con il nome della loro categoria seguito dal loro nome
specifico o dal relativo numero CEE. Qualora un ingrediente appartenga a più
categorie, deve essere indicata la categoria corrispondente alla funzione
principale che esso svolge nel prodotto finito.
3. L’elenco degli ingredienti è costituito dalla enumerazione di
tutti gli ingredienti del prodotto alimentare, in ordine di peso decrescente al
momento della loro utilizzazione; esso deve essere preceduto da una dicitura appropriata
contenente la parola “ingrediente”.
4. L’acqua aggiunta e gli altri ingredienti volatili sono
indicati nell’elenco in funzione del loro peso nel prodotto finito. L’acqua
aggiunta può non essere menzionata ove non superi, in peso, il 5 per cento del
prodotto finito.
5. La quantità di acqua aggiunta come ingrediente in un prodotto
alimentare è determinata sottraendo dalla quantità totale del prodotto finito
la quantità degli altri ingredienti adoperati al momento della loro
utilizzazione.
6. Nel caso di ingredienti utilizzati in forma concentrata o
disidratata e ricostituiti al momento della fabbricazione, l’indicazione può
avvenire nell’elenco in base al loro peso prima della concentrazione o della
disidratazione con la denominazione originaria.
11. Un ingrediente composto può figurare nell’elenco degli
ingredienti con la propria denominazione prevista da norme specifiche o
consacrata dall’uso in funzione del peso globale, purché sia immediatamente
seguito dalla enumerazione dei propri componenti.
12. La enumerazione di cui al comma 11 non è obbligatoria:
a) se
l’ingrediente composto rappresenta meno del 25% del prodotto finito;
b) se
l’ingrediente composto è un prodotto per il quale l’elenco degli ingredienti
non è prescritto;
c) quando
si tratta di ingredienti i quali, durante il processo di fabbricazione, siano
stati temporaneamente tolti da un ingrediente composto per esservi immessi di
nuovo in un quantitativo non superiore al tenore iniziale.
13. La menzione del trattamento di cui all’art. 4 comma 3, non è
obbligatoria, salvo nel caso sia espressamente prescritta da norme specifiche;
l’ingrediente sottoposto a radiazioni ionizzanti, tuttavia, deve sempre essere
accompagnato dall’indicazione del trattamento.
(Art.4 comma 3: La denominazione di vendita comporta una
indicazione relativa allo stato fisico in
cui si trova il prodotto alimentare o al trattamento specifico
da esso subito (ad esempio: in polvere, concentrato, liofilizzato, surgelato,
affumicato) se l’omissione di tale indicazione può creare confusione
nell’acquirente.)(66-41)!
_Presentiamo ora alcune voci dell’allegato I che si riferisce a:
CATEGORIE DI INGREDIENTI CHE RIENTRANO NELLA COMPOSIZIONE DI UN
ALTRO PRODOTTO
ALIMENTARE PER I QUALI L’INDICAZIONE DELLA CATEGORIA PUÒ
SOSTITUIRE QUELLA DEL NOME SPECIFICO
DEFINIZIONE DESIGNAZIONE
Oli raffinati diversi dall’olio di oliva. “Olio”, completata:
_ o dall’aggettivo
qualificativo “vegetale” o “animale”, a seconda dei casi;
_ o dalla indicazione
dell’origine specifica vegetale o animale.
Inoltre nel caso di olio
idrogenato la menzione di cui sopra deve essere accompagnata dall’attributo
“idrogenato”.
Grassi raffinati. “Grasso”,
completata:
_o dall’aggettivo
qualificativo “vegetale” o “animale”, a seconda dei casi;
_o dalla indicazione
dell’origine specifica vegetale o animale.
Amidi e fecole naturali e amidi e Amido, fecola.
fecole modificati per via fisica o
chimica.
_Allegato II
CATEGORIE DI INGREDIENTI CHE DEVONO ESSERE OBBLIGATORIAMENTE
DESIGNATI CON IL NOME DELLA LORO CATEGORIA SEGUITO DAL RISPETTIVO NOME
SPECIFICO O DAL NUMERO CEE.
Colorante
Conservante
Antiossidante
Emulsionante
Addensante
Gelificante
Stabilizzante
Esaltatore di sapidità
Acidificante
Correttore di acidità
Antiagglomerante
Amido modificato (1)
Edulcorante artificiale
Polvere lievitante
Antischiumogeno
Agente di rivestimento
Sali di fusione (2)
Agente di trattamento della farina (66-45)!
(1)L’indicazione
del nome specifico o del numero CEE non è richiesta.
(2)Soltanto
per i formaggi fusi e i prodotti a base di formaggio fuso.
Le sostanze elencate nel 1° comma art.7 D.lgs. 109/1992 venendo
espressamente escluse dalla normativa possono lecitamente essere taciute in
sede di etichettatura.
1.
Non sono considerati ingredienti:
a)
i costituenti di un ingrediente che, durante il
procedimento di lavorazione, siano stati temporaneamente tolti per esservi
immessi successivamente in quantità non superiore al tenore iniziale;
b)
gli additivi, la cui presenza nel prodotto
alimentare è dovuta unicamente al fatto che erano contenuti in uno o più
ingredienti di detto prodotto, purché essi non svolgano più alcuna funzione nel
prodotto finito, secondo quanto stabilito dai decreti ministeriali adottati ai
sensi degli articoli 5 lettera g) e 22 della legge 30 aprile 1962, n. 283;
c)
i coadiuvanti tecnologici; per coadiuvante
tecnologico si intende una sostanza che non viene consumata come ingrediente
alimentare in sé, che è volontariamente utilizzata nella trasformazione di
materie prime, prodotti alimentari o loro ingredienti, per rispettare un
determinato obiettivo tecnologico in fase di lavorazione o trasformazione e che
può dar luogo alla presenza non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di
residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione
che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano
effetti tecnologici sul prodotto finito;
d)
le sostanze utilizzate, nelle dosi strettamente
necessarie, come solventi o supporti per gli additivi e per gli aromi e le
sostanze il cui uso è prescritto come rivelatore.
2.
L’indicazione degli ingredienti non è richiesta:
a)
nei prodotti costituiti da un solo ingrediente,
salvo quanto disposto da norme specifiche;
b)
negli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che
non siano stati sbucciati, tagliati, o che non abbiano subito trattamenti;
c)
nel latte e nelle creme di latte fermentati, nei
formaggi, nel burro, purché non siano stati aggiunti ingredienti diversi dai
costituenti propri del latte, dal sale o dagli enzimi e colture di
microrganismi necessari alla loro fabbricazione; in ogni caso l’indicazione del
sale è richiesta per i formaggi freschi, per i formaggi fusi e per il burro;
d)
nelle acque gassate che riportano la menzione di
tale caratteristica nella denominazione di vendita;
e)
nelle acqueviti e nei distillati, nei mosti e nei
vini, nei vini spumanti, nei vini frizzanti, nei vini liquorosi e nelle birre
con contenuto alcolico superiore a 1,2% in volume;
f)
negli aceti di fermentazione, provenienti
esclusivamente da un solo prodotto di base e purché non siano stati aggiunti
altri ingredienti.
3.
L’indicazione dell’acqua non è richiesta:
a)
se l’acqua è utilizzata nel processo di
fabbricazione unicamente per consentire la ricostituzione nel suo stato
originale di un ingrediente utilizzato in forma concentrata o disidratata;
b)
nel caso di liquido di copertura che non viene
normalmente consumato;
c)
per l’aceto, quando è indicato il contenuto
acetico e per l’alcole e le bevande alcoliche quando è indicato il contenuto
alcolico.
4. Fatti salvi i casi indicati al comma 1. lettere b) e c),
quanto previsto dalla lettera a) del comma 12 dell’articolo 5 non si applica
agli additivi.
Riportiamo, a questo proposito, un commento del magistrato Carlo
Correra:
“in questo modo il consumatore viene lasciato all’oscuro
dell’effettiva e completa composizione della sostanza alimentare di cui si è
indotto all’acquisto e al consumo.
In virtù di questo “esonero per legge” dall’obbligo di
indicazione gli potrà così capitare di consumare anche:
-
additivi “veicolati” ovvero presenti in uno o più
ingredienti del prodotto da lui acquistato e che non svolgono più alcuna
funzione nel prodotto finito;
-
residui di coadiuvanti tecnologici o di derivati
da coadiuvanti lecitamente adoperati e tecnicamente inevitabili, senz’altro
senza effetti tecnologici sul prodotto finito e privi di rischio per la salute;
-
sostanze lecitamente usate come solventi o
supporti per gli additivi e per gli aromi e sostanze il cui uso sia persino
prescritto dalla legge perché destinato a svolgere, nel prodotto finale, un
ruolo di rilevatore.
Orbene non si riesce a comprendere quale motivazione socialmente
e moralmente apprezzabile abbia indotto ad emanare per questi casi una
disposizione che volutamente tenga all’oscuro il consumatore della presenza di
queste sostanze nell’alimento o bevande che si accinge a consumare
personalmente o a far consumare da altri.”(66-53)!
Leggiamo inoltre negli opuscoli stilati dal Ministero della
Sanità che: “La conoscenza degli ingredienti risulta fondamentale specialmente
per quei consumatori che sono affetti da allergie a particolari componenti
ovvero additivi.” (27-6-17)!
a) acidità
superiore a 5 litri destinati alle collettività;
b) i
prodotti della panetteria e della pasticceria che, per loro natura, sono
normalmente consumati entro le 24 ore successive alla fabbricazione;
c) gli
aceti;
d) il
sale da cucina;
e) gli
zuccheri allo stato solido;
f) i
prodotti di confetteria consistenti quasi unicamente in zuccheri, aromi e
coloranti quali caramelle e pastigliaggi;
g) le
gomme da masticare e prodotti analoghi;
h) I
gelati monodose.
7. E’ vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di
scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione.
Citiamo a commento il magistrato Carlo Correra:
“E’ da notare che la normativa non definisce quali siano gli
alimenti che debbono riportare la data di scadenza e quali il termine minino di
conservazione, tranne che per i formaggi freschi a pasta filata destinati al
consumatore, che devono riportare la data di scadenza; per gli altri alimenti
la decisione è lasciata al produttore.
Così può capitare, girando in un supermercato di vedere la
maggior parte degli yogurt riportare la data di scadenza, mentre su qualcuno
può figurare il termine minimo di conservazione.
Inoltre di grande importanza sarebbe, ci sembra, anche la data
di confezionamento o di produzione, al fine di determinare esattamente la data
scadenza.
La durabilità di un prodotto alimentare è deter_Secondo quanto
recita l’art. 10 del D.Lgs. 109/1992:
1. Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale
il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate
condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura
“da consumarsi preferibilmente entro” seguita dalla data oppure
dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura.
2. La data di scadenza è la data entro la quale il prodotto
alimentare va consumato; essa va indicata con la dicitura “da consumarsi entro”
seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui
essa figura.
3. La data si compone dell’indicazione, in chiaro e nell’ordine,
del giorno, del mese e dell’anno.
4. La data può essere espressa:
a) con
l’indicazione del giorno e del mese per i prodotti alimentari conservabili per
meno di tre mesi;
b) con
l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per
più di tre mesi, ma per meno di diciotto mesi;
c) con
la sola indicazione dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per almeno
diciotto mesi.
5. Qualora sia necessario adottare, in funzione della natura del
prodotto, particolari accorgimenti per garantire la conservazione del prodotto
stesso sino al termine di cui ai commi 1 e 2 ovvero nei casi in cui tali
accorgimenti siano espressamente richiesti da norme specifiche, le indicazioni
di cui ai commi 1 e 2 sono completate dalla enunciazione delle condizioni di
conservazione con particolare riferimento alla temperatura in funzione della
quale il periodo di validità è stato determinato.
6. L’indicazione del termine minimo di conservazione e di
qualsiasi altra data non è richiesta per:
i) gli
ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non siano stati sbucciati o
tagliati o che non abbiano subito trattamenti; tale deroga non si applica ai
semi germinali e prodotti analoghi quali i germogli di leguminose;
j) i
vini, i vini liquorosi, i vini spumanti, i vini frizzanti, i vini aromatizzati
e prodotti simili ottenuti da frutti diversi dall’uva nonché delle bevande dei
codici NC 2206 00 91, 2206 00 93, 2206 00 99, ottenute da uva o mosto d’uva;
k) le
bevande con contenuto di alcole pari o superiore al 10% in volume;
le bevande analcoliche, i succhi ed i nettari di frutta, le
bevande alcolizzate contenute in recipienti individuali di cap minata dal
fabbricante o dal confezionatore in base alle caratteristiche del prodotto
stesso, ai trattamenti ai quali è stato sottoposto, al materiale usato per il
confezionamento e ad altri parametri; le indicazioni “da consumarsi entro il …”
o da “consumarsi preferibilmente entro il…” assumono quindi un valore relativo,
perché in alcuni casi prevalgono interessi industriali o commerciali che
determinano un prolungamento sia della data di scadenza che del termine minimo di
conservazione.
Riguardo questo problema ricordiamo che le spese per i test di
durabilità possono più facilmente essere sopportate dalle grandi aziende
agroalimentari che non da quelle piccole le quali, molto spesso riportano la
data di scadenza o il termine minimo di conservazione senza verificare il
mantenimento di buone caratteristiche organolettiche entro tale data.
Così la data di scadenza e il termine minimo di conservazione di
molti prodotti vengono spostati arbitrariamente in avanti; si riportano alcuni
esempi:
-
il prosciutto cotto affettato. Questo prodotto
quando viene confezionato in vaschetta di materiale plastico, non dovrebbe
superare i 20 giorni di conservazione, mentre alcune aziende fissano date di
scadenza molto variabili, che arrivano anche fino ai due mesi;
-
l’olio d’oliva extra vergine. Alcune aziende
consigliano il consumo entro sei mesi, altre addirittura arrivano ad oltre
diciotto mesi, limite senza dubbio eccessivo, in quanto le caratteristiche
nutrizionali e di gusto si modificano con il passare del tempo, soprattutto se
il prodotto non viene conservato in modo adeguato;
-
il caffè. Alcune aziende fissano la data limite di
conservazione tra i sedici ed i diciotto mesi. Esperti del settore asseriscono
che il caffè non può mantenere l’aroma e la fragranza per un tempo tanto lungo.
Solo in alcuni casi, lattine di metallo sotto vuoto, si può arrivare a dodici
mesi, negli altri, nettamente di meno;
-
lo yogurt. Il periodo di validità del prodotto,
comunemente riferito, è di circa un mese. Un ulteriore prolungamento di dieci,
venti giorni, non di rado adottato dai produttori per motivi commerciali, non
provoca problemi di alterazione dell’alimento ma porta a ridurre in modo
quantitativamente apprezzabile il numero dei microrganismi vivi, snaturando le
caratteristiche essenziali del prodotto;
-
i pelati. Quasi tutte le confezioni riportano
scadenze di due anni; esperti di tecnologie alimentari asseriscono che il
processo produttivo garantisce questi prodotti soltanto per sei, nove mesi;
-
la mozzarella. Alcuni produttori fissano il
periodo di conservazione tra dieci o venti giorni, quando il Consorzio di
tutela del prodotto consiglia, al massimo, quattro o cinque giorni.
Il termine minimo di conservazione non funziona come termine di
commerciabilità e tanto meno come termine di commestibilità, ma è semplicemente
la garanzia fornita dal fabbricante che quel prodotto conserva le sue proprietà
specifiche in adeguate condizioni di conservazione e non è prevista nessuna
sanzione amministrativa in caso un prodotto sia posto in vendita o distribuito
oltre questo tipo di termine.(66-69)!”
_L’uovo è un alimento certamente economico (un grammo di
proteina delle uova costa 36 lire contro le 87 lire di quella contenuta nella
carne bovina, e le 57 lire di quella contenuta nella mozzarella!) le cui
proteine vengono ritenute pregiate.
Vi sono però alcune informazioni che possono aiutarvi ad
evitarne la degradazione e l’impoverimento; ve le forniamo di seguito.
Le uova sono classificate nelle seguenti categorie di qualità:
-
categoria A o “uova fresche” (Le uova della
categoria A vengono classificate anche in base al loro peso.);
-
categoria A “EXTRA” O
-
categoria B o “uova di seconda qualità o
conservate”;
-
categoria C o “uova declassate destinate alle aziende
riconosciute per la produzione di ovoprodotti.
Le fascette d’imballo devono riportare, tra le altre, le
seguenti indicazioni obbligatorie:
-
la categoria di qualità e la categoria di peso;
-
l’avviso “dopo l’acquisto conservare le uova in
frigorifero”.
Per quanto riguarda la
temperatura di mantenimento delle uova non vi è nessun obbligo imposto; infatti
la decisione n. 371/94 CEE ha disposto che le uova, dal momento della
produzione sino a quello della vendita al consumatore, siano conservate in
locali asciutti a temperatura possibilmente costante e lontano da fonti di
calore o da esposizione diretta ai raggi solari.
Ragion per cui le uova
possono essere tenute sui banchi di vendita a temperatura ambiente,
indipendentemente dalla stagione, a scapito della qualità del prodotto, in
quanto l’uovo subisce un processo naturale di invecchiamento tanto più veloce
quanto più elevata è la temperatura.
-
l’indicazione della data di durata minima o
termine minimo di conservazione per le uova di categoria A (da consumarsi
preferibilmente entro…).
La data di durata minima è
dunque l’indicazione temporale fissata su responsabilità del centro di
imballaggio. La Comunità Europea ha disposto che la data di durata minima sia
stabilita in un tempo massimo di 28 giorni dalla data di deposizione (data
limite di vendita); sarebbe auspicabile che la freschezza non fosse limitata al
concetto di tempo ma anche a quello di temperatura.
Infatti, un uovo conservato
un mese a 5°C è indubbiamente più “fresco” di un uovo conservato 10 giorni a
30°C.
-
l’indicazione “EXTRA” seguita dalle parole “fino
al…” ed il riferimento al giorno ed al mese per le uova della categoria A
commercializzate con la dicitura EXTRA. (67-139)!
Difficile crederlo. Ormai pubblicità è sinonimo di spettacolo,
di interruzione dei programmi televisivi, ma raramente il concetto di
pubblicità si lega con quello di informazione.
Gli spot pubblicitari televisivi o radiofonici, le televendite o
telepromozioni, i cartelloni pubblicitari per strada, gli spazi sui giornali,
le promozioni nei supermercati: sono tanti i momenti in cui un determinato
produttore potrebbe aggiornarci su quelle che sono le uniche notizie veramente
importanti di un prodotto alimentare: quanto e cosa contiene, le sue
caratteristiche salutari, la sua effettiva utilità.
Come ognuno di noi può facilmente rendersi conto, la maggior
parte degli alimenti pubblicizzati non è assolutamente fondamentale per la
nostra dieta giornaliera ma è rappresentata essenzialmente da “sfizi” che, come
tali, andrebbero consumati “una tantum”.
Basta però dare un’occhiata ai fatturati delle aziende di
prodotti dolciari e biscotteria per rendersi conto che non è così.
Come tutti i prodotti superflui, hanno bisogno di maggiori
passaggi pubblicitari per essere ricordati ed acquistati, rispetto ai prodotti
primari (a nessuno, infatti, verrebbe in mente di fare la pubblicità del pane!);
così si innesca un meccanismo che, economicamente, ricade sui consumatori che
continuano a comperare un prodotto sul cui prezzo sono state ricaricate le
spese pubblicitarie.
Nessuno di noi può ignorare il bombardamento pubblicitario a cui
siamo sottoposti quotidianamente, eppure ognuno di noi è probabilmente convinto
di poter continuare a vedere la televisione e dominare l’insinuante messaggio
degli spot senza lasciarsi influenzare nei suoi acquisti.
_A questo proposito riportiamo i risultati di una ricerca
riguardante il rapporto efficacia-efficienza nel settore pubblicitario,
commissionata da un’agenzia pubblicitaria; per realizzarla è stato misurato
l’ascolto televisivo ed il comportamento d’acquisto di un campione di
consumatori.
I risultati emersi dalla ricerca indicano che già dopo una prima
esposizione dei telespettatori agli spot si registrano importanti ricadute
sulle vendite dei prodotti reclamizzati.
Nella ricerca, inoltre, si parla anche di un metodo utilizzato
per calcolare l’effetto immediato sul telespettatore della pubblicità, in modo
da poter modificarne le caratteristiche sulla base dei risultati riscontrati;
il metodo è denominato Stas (Short terms advertising strenghts-impatto
pubblicitario a breve termine).
Questo metodo si basa su monitoraggi settimanali o addirittura
giornalieri del gradimento da parte
del consumatore di una data campagna pubblicitaria in atto; nel
caso questa non risulti soddisfacente sono previsti cambiamenti o lanci di
nuove campagne.
Con questo metodo, negli Usa, si è calcolato l’effetto immediato
della pubblicità sulle vendite, monitorando l’andamento di 78 prodotti di varie
aziende.
Undici di queste, che hanno investito ingenti somme in
comunicazione commerciale ed in monitoraggi frequenti, sono in breve cresciute
del 35%; mentre i 15 prodotti supportati unicamente da notevoli spese
pubblicitarie sono balzati in avanti del 7%; quelli immessi sul mercato, senza
campagne pubblicitarie e quindi senza monitoraggi, hanno perso
il 4%.
In conclusione, viene consigliata una pressione pubblicitaria
molto più fitta rispetto al passato con una scelta accurata e continuamente
monitorata dei mezzi, dei messaggi e delle risorse. Soprattutto lo scopo è
quello di convincere chi ancora non ha optato per una marca piuttosto
che per un’altra. (88-142)
_D’altra parte si dice che le campagne politiche siano fatte non
per chi ha già una convinzione politica e quindi sa per chi votare, ma per chi
è ancora indeciso ed influenzabile.
Quindi se non vi piace l’idea di essere in balia delle seduzioni
pubblicitarie, non c’è altro da fare che informarsi al meglio e scegliere
conseguentemente.
_Passiamo ora ad analizzare il settore alimentare dal punto di
vista economico-pubblicitario.
In questa tabella abbiamo raggruppato le principali aziende
alimentari, in ordine di rilevanza degli investimenti pubblicitari effettuati
nel 1997; ne abbiamo evidenziato il fatturato, l’utile, la percentuale degli
utili sul fatturato e gli investimenti pubblicitari, e ne abbiamo estrapolato
una serie di dati che ci sono sembrati insospettatamente interessanti.
(Tutte le
cifre sono in miliardi e si riferiscono all’anno 1997.)
B)
Investimenti pubblicitari aziende; C) Investimenti pubblicitari delle aziende
su investimento pubblicitario del settore alimentare; D) Fatturati delle
aziende; E) Fatturati aziende su fatturato del settore alimentare (132.000 mrd;
F) Utili aziende; G) Utili aziende su fatturati aziende; H) Investimenti
pubblicitari aziende su fatturati aziende; I) Investimenti pubblicitari aziende
su utili aziende (numeri assoluti).
A) AZIENDE |
B) IPA |
C) IPA/ IPSA % |
D) FA |
E) FA/ FSA % |
F) UA |
G) UA/ FA % |
H) IPA/ FA % |
I) IPA/ UA |
Ferrero spa |
468 |
9.0 |
3.032 |
2.2 |
140 |
4,6 |
15 |
3.3 |
Coca Cola Italia srl |
173 |
3.3 |
1.233 |
0.9 |
31 |
2.6 |
14 |
5.6 |
Perfetti spa |
127 |
2.4 |
993 |
0.7 |
83 |
8.4 |
13 |
1.5 |
Lavazza Luigi spa |
93 |
1.7 |
1.275 |
1 |
60 |
4,8 |
7.2 |
1.6 |
Star spa |
80 |
1.5 |
811 |
0.6 |
28 |
3.5 |
9.8 |
2.9 |
Parmalat spa |
64 |
1.2 |
1.665 |
1.3 |
25 |
1.5 |
3.8 |
2.6 |
Davide Campari Milano spa |
59 |
1.1 |
631 |
0.5 |
126 |
20 |
9.3 |
0.5 |
Saiwa spa |
53 |
1.0 |
382 |
0.3 |
8 |
2.1 |
14 |
6.6 |
Acqua minerale San Benedetto spa |
49 |
0.9 |
593 |
0.4 |
18 |
3.1 |
8.2 |
2.7 |
Martini & Rossi spa |
46 |
0.8 |
527 |
0.4 |
6 |
1.3 |
8.7 |
7.7 |
Birra Peroni Industriale spa |
44 |
0.8 |
524 |
0.4 |
20 |
3.9 |
8.3 |
2.2 |
Italaquae spa (Ferrarelle, etc…) |
44 |
0.8 |
361 |
0.3 |
15 |
4.4 |
12 |
2.9 |
Egidio Galbani spa |
43 |
0.8 |
2.137 |
1.6 |
40 |
1.9 |
2.0 |
1.1 |
Rovagnati spa |
21 |
0.4 |
188 |
0.1 |
2 |
1.3 |
11 |
11 |
Significato delle colonne:
B) – F) - I) Analizzando
queste colonne ciò che balza agli occhi sono le grosse cifre spese in
pubblicità rispetto agli utili, quasi sempre molto più bassi, ottenuti dalla
vendita dei prodotti pubblicizzati!
Ad esempio, la Ferrero ha investito in pubblicità una somma pari
a 3,3 volte quella costituita dagli utili.
C) Da questa colonna possiamo desumere, in percentuale, che
fetta del mercato degli investimenti pubblicitari dell’intero settore
alimentare, occupa l’azienda presa in considerazione.
G) Queste cifre indicano in percentuale quanta parte del
fatturato è costituita dall’utile.
H) Questa colonna ci rivela quanto incide, in percentuale, il
costo della pubblicità sul venduto e quindi, in qualche modo, l’utilità del
prodotto.
Infatti, più un prodotto è superfluo, più le aziende sono
costrette a pubblicizzarlo per convincere i consumatori del contrario
investendo quindi un’ingente parte del fatturato in campagne pubblicitarie.
I)I dati che si possono rilevare da questa colonna ci sembrano
molto interessanti in quanto ci dicono quanti miliardi di pubblicità sono stati
spesi per conseguirne uno di utile.
Alcuni risultati sembrano incredibili!!!
E’ importante inoltre rilevare che sebbene gli spot pubblicitari
televisivi riguardino molto spesso prodotti alimentari questo non dipende dal
fatto che l’industria alimentare è la più importante del sistema produttivo
nazionale.
Infatti, il peso degli investimenti pubblicitari del settore
alimentare (5.170 mrd) rispetto agli investimenti pubblicitari nazionali
(27.887 mrd) è oltre 3 volte il peso del fatturato del settore alimentare
rispetto al fatturato nazionale lordo.
Ribadiamo che i miliardi spesi in pubblicità vengono caricati
sui prezzi dei prodotti che, ovviamente, “lievitando”, possono indurre il
consumatore a scegliere un prodotto meno esoso; nel qual caso l’azienda è
costretta ad aumentare la sua pubblicità per riuscire a vendere il suo prodotto
penalizzato da un prezzo maggiorato. (114/111/AUTO)
_Si potrebbe anche notare che l’investimento pubblicitario
concorre a mantenere in vita agenzie pubblicitarie, giornali, televisioni, ma è
anche vero che tutto questo viene pagato dai consumatori e non direttamente
dalle aziende (e crediamo che i consumatori ne farebbero volentieri a meno).
* * * * * * * * * *
Abbiamo visto che non è dalla pubblicità che potremo trarre le
informazioni che ci necessitano sui prodotti e d’altra parte, quelle contenute
sulle confezioni (ingredienti, scadenza, ecc.) non sono esaustive.
Data l’importanza di una cultura sanitaria ed alimentare non
sarebbe stato il caso di istituzionalizzare questa informazione, organizzando
campagne, seminari, corsi, possibilmente gratuiti, magari da iniziare già nelle
classi di grado inferiore? Possibile che non sia stato fatto?(AUTO)
_Vi riportiamo subito l’introduzione alla risoluzione del
Consiglio CEE del 14/4/75 nella quale si afferma che “il consumatore non è più
considerato come compratore e utilizzatore di beni e di servizi per il proprio
uso personale, familiare, collettivo, ma come individuo interessato ai vari
aspetti della vita sociale che possano direttamente o indirettamente
danneggiarlo come consumatore.
I diritti fondamentali del consumatore, così definito,
individuati dal programma sono:
-
il diritto alla protezione della salute e della
sicurezza;
-
il diritto alla tutela degli interessi economici;
-
il diritto al risarcimento dei danni;
-
il diritto all’informazione e all’educazione;
-
il diritto alla rappresentanza.
I principi inderogabili su cui si deve basare l’informazione del
consumatore sono:
-
la conoscenza delle caratteristiche essenziali dei
prodotti e dei servizi;
-
la possibilità di operare una scelta razionale ed
obiettiva conseguente;
-
l’utilizzo in modo sicuro e soddisfacente di tali
prodotti e servizi;
-
l’esigenza di pretendere il risarcimento dei danni
eventuali.
La risoluzione del Consiglio CEE del 9/11/89 afferma che è
necessario migliorare ancora l’informazione sulla qualità dei prodotti e
servizi ed invita la Commissione a concentrare i suoi sforzi nella
realizzazione di alcuni obiettivi prioritari:
-
l’integrazione della politica di protezione e di
promozione degli interessi dei consumatori nelle altre politiche comuni;
-
il miglioramento del sistema di rappresentanza dei
consumatori a livello comunitario;
-
la promozione della sicurezza generale dei
prodotti e dei servizi e per l’appunto il perfezionamento dei sistemi di
informazione sulla qualità dei prodotti e dei servizi.
In data 31/10/95 la Commissione dell’Unione Europea ha emanato
una comunicazione sulle “priorità della politica a favore dei consumatori
1996-1998”.
Tra le varie priorità in questo piano triennale troviamo:
-
migliorare l’informazione e la formazione dei
consumatori;
-
migliorare la fiducia dei consumatori nei generi
alimentari;
si sottolinea inoltre che “informazioni inadeguate sono alla
base di numerosi problemi dei consumatori per cui se è possibile fornire
opportune informazioni, numerose difficoltà dei consumatori potranno essere
superate”.
La Commissione ritiene inoltre che alcune delle informazioni
fornite sulle etichette dei prodotti siano “inutili per via della loro
complessità, mentre risulta che non vengono affatto soddisfatte le esigenze
informative di base”.(67-12)!
Leggiamo poi nell’art. 2 della legge n. 833/78 istitutiva del
Sistema Sanitario Nazionale, che tra i suoi obiettivi vi sono:
1)
la formazione di una moderna coscienza sanitaria
sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;
2)
la prevenzione delle malattie e degli infortuni in
ogni ambito di vita e di lavoro;
Secondo l’art. 14 della stessa legge, riguardante i compiti
delle USL, nell’ambito delle proprie competenze, l’unità sanitaria locale
provvede in particolare:
a)all’educazione sanitaria;
c)alla prevenzione individuale e collettiva delle
malattie fisiche e psichiche.
Per quanto riguarda il Consiglio Superiore di Sanità leggiamo
che: è un organo consultivo del Ministero della Sanità, costituito da 69
membri, fra i più eminenti studiosi ed esperti del mondo sanitario nazionale.
E’ diviso in cinque sezioni competenti rispettivamente in: igiene
dell’ambiente, medicina nucleare, medicina del lavoro, disciplina delle
professioni sanitarie, educazione sanitaria!. (15-494)!
* * * * * * * * * *
_Il compito di impartirci un’educazione sanitaria, crediamo con
l’intento di prevenire le patologie, rientra negli obiettivi del Sistema
Sanitario Nazionale e spetta a ciascuna ASL, seguendo gli indirizzi fissati dal
Consiglio Superiore di Sanità.
Noi abbiamo cercato di reperire dei dati che permettessero di
valutare come è stato svolto questo compito; il dato che permette la
valutazione più immediata è quello dell’impegno economico.
Dopo lunghe e penose ricerche nei meandri della burocrazia siamo
riusciti ad ottenere ben due dati!!! Nel 1996 sono stati spesi direttamente dal
Ministero della Sanità per campagne di Educazione Alimentare ben 1 miliardo e
300 milioni; nello stesso anno le ASL hanno speso per servizi presso terzi per
Educazione Sanitaria 30 miliardi circa.
Queste cifre richiedono qualche precisazione:
-
i 1.300 milioni stanziati dal Ministero della
Sanità quell’anno provengono da fondi stornati da altre Amministrazioni dello
Stato, in quanto non esiste nel bilancio del Ministero un capitolo di spesa
relativo all’Educazione Alimentare; negli anni 1997 e 1998 infatti, più
difficili per le finanze pubbliche, all’Educazione Alimentare non è stata
destinata nessuna somma. Per quanto riguarda gli anni precedenti al 1996 le
persone del Ministero della Sanità con cui abbiamo parlato non ricordavano
nulla;
-
per quanto riguarda i 30 miliardi è da notare che
riguardano l’Educazione Sanitaria in generale e quindi ANCHE, forse,
l’Educazione Alimentare.
E’ da notare quindi la differenza tra i 31 miliardi, al massimo,
stanziati dalla Pubblica Amministrazione ed i 5.170, oltre 160 volte i primi,
investiti dalle aziende per “informarci” (111). Una prima considerazione che
può essere fatta su questa differenza e sulle sue conseguenze è che mentre
chiunque ricorda un prodotto alimentare pubblicizzato, pochissimi ricordano
campagne di informazione alimentare.
Eppure siamo sicuri che invece vi ricordate di quando dovevate
imparare le poesie a memoria, i sette
Re di Roma in ordine cronologico, i
confini dell’Italia, il teorema di Pitagora, a giocare a pallavolo; ma sul funzionamento del nostro
corpo, forse sforzandoci, possiamo ricordare dei frammenti di lezioni, che
qualche professore ha pensato di buttare lì, forse accorgendosi delle gravi
lacune esistenti, forse…
Siamo certi che argomenti importanti come quelli sanitario,
fisiologico, alimentare non possano essere trattati esaurientemente in qualche
sporadica lezione o in seminari di qualche ora, come non potrebbero esserlo la
matematica e la storia.(AUTO)!
_L’informazione dei cittadini-consumatori può essere fornita in
vari modi ma bisogna essere sicuri che i metodi vengano presentati con cura, in
una forma e con un linguaggio che risultino
comprensibili a tutti, sincerandosi poi dell’avvenuto recepimento delle
nozioni, passaggio questo quasi sempre tralasciato, dal quale invece possono
scaturire ed essere chiariti gli ultimi dubbi.(2-181)!
_Certi che l’importanza di queste informazioni non possa essere
negata da alcuno, ricordiamoci che “guardarsi dentro” può significare per
alcuni porre attenzione alla psiche o all’anima, ma per tutti dovrebbe voler
dire guardare al funzionamento del proprio organismo, imparando a soddisfarne
le reali necessità, in modo da prevenirne gli squilibri ed evitare
patologie.(AUTO)!